Questa è una storia antica, che ci riporta ad un tempo che non esiste più.
Tutto comincia nel 1898 quando il nonno di Aroldo, il protagonista del nostro racconto, costruisce con le sue mani una casa nel piccolo borgo di Pizzoli. Quella casa diventa il cuore pulsante di una famiglia di pastori, un rifugio semplice ma pieno di vita.
Aroldo ci nasce nel 1941, e il primo ricordo d’infanzia che conserva non è un gioco o una corsa nei prati, ma il passo lento della transumanza, quando si partiva tutti insieme a piedi, accompagnando le greggi verso Roma. Ricorda le notti all’aperto, i pasti improvvisati e la fatica.
Eppure, anche in quella fatica c’era il senso di appartenenza a qualcosa di più grande: la terra, la famiglia, la casa.
Negli anni, Aroldo lascia il paese per seguire i figli a Roma, ma il cuore resta sempre là, tra quelle mura di pietra grezza e affetto antico. E ogni volta che parla di Pizzoli, nei suoi occhi si accende una luce. È il luogo dove le donne di casa partivano all’alba per coltivare lenticchie, dove la minestra si mangiava solo la sera e dove la povertà era una compagna discreta.
Lasciata in eredità dalla famiglia, Aroldo si occuperà sempre di questa casa, che nel tempo diventa un punto di riferimento costante per tutta la famiglia, dove ancora adesso i suoi nipoti amano tornare per trascorrere le vacanze. E che verrà ristrutturata nel 2000, 9 anni prima il tragico terremoto.
Quando la terra trema, Aroldo pensa solo a una cosa: “Riuscirò a rivedere casa?”
I giorni e i mesi che seguono sono una lunga attesa fatta di sospiri e immagini di macerie - “Io dormo con la casa nel letto!” - così ricorda, ripensando a quel tempo sospeso.
All’epoca della sua costruzione, le case tra di loro erano tenute assieme da una muratura a secco e le ricostruzioni avvenivano con l’intonaco armato; ma questa volta è diverso, i danni sono molteplici e una volta fatto il sopralluogo, subito l’idea prevalente è quella di radere al suolo la casa e ricostruirla. Quando gli propongono di demolire tutto, lui si ribella. È difficile accettare che le radici possano essere strappate così. “Non voglio una casa che non riconosco più”, ripete. Ma il figlio gli prende la mano e gli dice: “Papà, questo è un treno che passa una volta sola”.
Aroldo si arrende, ma vuole esserci. Parte da Roma, fa di tutto per arrivare il giorno della demolizione. Ma un contrattempo lo blocca. Quando arriva, trova solo un piazzale vuoto. Nessuna pietra, nessun muro, solo il vento che soffia tra i ricordi.

La casa prima del terremoto

La demolizione

La ricostruzione
Tanti i dubbi e gli interrogativi sulla scelta fatta. Ma non si abbatte, non è da lui: da allora, ogni occasione è buona per salire a Pizzoli. Diventa l’ummarell abruzzese più assiduo di sempre. Controlla, domanda, osserva. E ogni giorno si rincuora vedendo le fondamenta risalire, le mura prendere forma. Nel maggio 2021 partono i lavori e termineranno dopo 2 anni. La ristrutturazione avviene rispettando i criteri della bioedilizia, anche nella scelta dei materiali: l’utilizzo di pannelli isolanti per l’umidità, il cemento pressato antisismico, la coibentazione con il cappotto termico, l’utilizzo del poroton.
Il giorno della consegna delle chiavi, è un’emozione difficile da raccontare, ancora oggi si commuove quando ne parla. Riapre quella porta e con la semplicità che solo i cuori puri conservano, esclama: “Ho lasciato una casa piccola e ho ritrovato una casa grande!” Con la ricostruzione la casa recupera infatti 1,70 mt, diventando così più grande; certo non sarà subito facile riabituarsi a questa nuova disposizione degli ambienti, ma pian piano inizia a prendere confidenza e ad apprezzarne i confort.
Aroldo si è fidato. Ha superato le sue paure, affidandosi a una ditta seria, che lo ha coinvolto in ogni decisione, rispettando tempi, materiali e sogni. Oggi, quella casa è sicura, sostenibile, in classe A green. Ha ripreso a vivere, con spazi nuovi e ricordi antichi.
La soddisfazione per il lavoro portato a termine si legge nei suoi occhi: la tempistica dei lavori è stata rispettata, l’impresa si è rivelata un supporto tecnico efficace, che ha agito con professionalità e trasparenza; anche quando c’è stata difficoltà nel reperimento dei materiali i lavori sono riusciti ad andare avanti lo stesso.

Il giorno della riconsegna delle chiavi

L'attaccapanni di famiglia

Nuovi spazi in casa
Aroldo, che nonostante i suoi ottant’anni ha ancora un animo energico, ammette che “è stato impossibile litigare con la ditta! E a fine lavori va personalmente a cercare il titolare dell’impresa per ringraziarlo del lavoro svolto.
Tornando indietro rifarebbe tutte le scelte fatte, anche quella più dolorosa di demolire tutto, per restituire una nuova identità alla sua casa.
Ma ciò che rende davvero speciale questa storia è il dettaglio finale. Prima di salutarci, Aroldo vuole mostrarci la cosa più preziosa: un vecchio attaccapanni del 1920 in ferro battuto. “Questo ha visto tutta la nostra storia”, dice. E adesso è tornato al suo posto, baluardo silenzioso di una casa che ha saputo morire e rinascere, come la terra d’Abruzzo.